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martedì 2 giugno 2020

Soave spavento

[Necessaria premessa: questo blog ha raccolto, fino ad ora, tutti gli scritti della mia adolescenza. Ormai è da tanto che non scrivo, cosa di cui non posso che dolermi... Mettere nero su bianco i miei pensieri, le mie emozioni, i miei colori, mi ha aiutato in un periodo della vita molto delicato, fatto di sogni, di aspettative, di illusioni. Lo scritto che segue è frutto proprio di questo periodo: l'ho ritrovato, su un pezzo di carta di quaderno, e ho deciso di riportarlo qui. All'epoca non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti direttamente, preferivo tenerli per me, magari scrivendoli ma in una forma un po' criptica. Dalla fine dell'adolescenza, forse per reazione, mi comporto all'opposto! 

Questo è il racconto di un fugace momento, anzi, di ciò che mi attraversava la testa mentre ero con il ragazzo che amavo (non ricambiata, ovviamente!): quando eravamo insieme sembrava che ogni parola valesse oro, visto che che non riuscivamo a spiccicarne, ma anche questa per me era una magia!]

 

Soave spavento

 

Una via semideserta, il cui silenzio è rotto soltanto da auto solitarie che fuggono via, veloci, senza fermarsi. Da quella parte, un semaforo ripetitivo, un giallo lampeggia instancabile. E da questa, la balaustra e, al di là, il mare.

Un mare calmo, lievemente increspato da una leggera brezza che soffia nei capelli. Ci sono gabbiani? Che importa...

 

Gli occhi vanno in due direzioni diverse, al giallo del semaforo e al blu del mare. Silenzi che sono fatti di parole, emozioni palpabili; un tacere che è dire, ma è nello stesso tempo paura. E' come un'eternità, ma tutti sappiamo che finirà anche quella.

 

Il Sole è al tramonto, avvolge ogni cosa nella sua luce calda ma non abbagliante, e infine si perde nel mare. Non risuonano canzoni, solo lo scrosciare dell'acqua al di sotto e di tanto in tanto il rombare di un'auto. 

Non ci sono canzoni. Non possono esserci canzoni.

 

Le parole sembra quasi non si vogliano pronunciare, per questo sono appena sussurrate. Che cosa dicono? Che importa... 

Possono parlare di libri, di viaggi catalani, di teatro, di racconti letti e non letti, ma sono parole che restano sospese, mute di contro all'eloquenza del silenzio: una sorta di vezzo, consapevoli della loro sconfitta.

 

E il vento soffia più forte, scompiglia le negre chiome, pare incoraggiare.

Le altezze sono diverse, gli occhi non più. Ma non basta.

 

Frecce ormai scagliate lontano...

Possibile che non ne sia rimasta neanche una nella faretra?

 


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